Una storia di confine

Comune di Castelmassa

Dalle origini al periodo matildeo

Le origini di Castelmassa sono antichissime. Faceva parte di un territorio chiamato “Val di Po”, ricco di isole, una Polinesia disseminata di polesini. Un paesaggio fatto di terre scivolose in continua evoluzione.
Lo storico Plinio afferma che, a quell’epoca, il Po avesse più di trenta affluenti. Durante le piene, le acque dell’Adige si confondevano con quelle del Tartaro e del Po, e i luoghi, compresi tra i due grandi fiumi, non erano che lago e palude che si spandevano da Ostiglia al mare e venivano chiamati “ Sette Mari”. Dove il terreno si consolidava, si formava un villaggio, i cui abitanti si adattavano alla mutevolezza del Po con una vita fatta di pesca, pastorizia e magre coltivazioni.
Per render vivibili le terre emerse, gli Etruschi avevano scavato fosse per diminuire la violenza dell’acqua. La più importante era la Fossa Pestrina di cui è rimasta traccia fino al 1700. I geologi ritengono che la Fossa Pestrina fosse il  paleoalveo del Po di Adria, vale a dire un antico tracciato di un ramo estinto  del grande fiume.
Con la fine dell’Impero Romano, 476 d. C. la zona divenne terra di confini e di scontri. Nel VII sec. iniziò il potere temporale dei papi che tendevano a cogliere l’eredità bizantina. A quel tempo, molti insediamenti portavano il nome di Massa, derivante dal latino “ Masus” che significa “quantità di poderi”. In Polesine esistevano dodici “Masse”, ma solo il nostro paese ha conservato tale toponimo.
998: i documenti citano il luogo con diversi nomi: “Massa delle Due Basiliche”, “basilica” come “edificio” luogo di culto ( nelle zone palustri le leggi canoniche  prevedevano  due chiese battesimali) o Massa Superiore”.
Agli inizi dell’anno 1000 Massa  era un semplice  villaggio, campo di contrasti continui tra feudatari confinanti. Attraverso questi eventi passò sotto la giurisdizione di Canossa, pur essendo inclusa “nell’antica Diocesi ferrarese”.


Firma di Matilde di Canossa

Nel 1017 il territorio di venne donato dai Canossa al Monastero di Nonantola. La contessa Matilde di Canossa, attraverso tre atti notarili, donò la terra, dapprima alla mensa Vescovile di Ferrara (1101), poi al Monastero di San Benedetto di Polirone (San Benedetto Po 13 aprile 1112).
La zona, all’epoca, era in parte abitabile e bonificata,  in gran parte coperta da boschi e circondata da acquitrini. La “ Gran Contessa” concesse il diritto di tenere un pescatore nelle paludi di Massa, di pascolare pecore, bovini e suini all’interno dei confini.
Infine confermò tutti i beni al medesimo monastero (4 maggio 1115). Diede, inoltre,agli abitanti “…il diritto di disboscare, pascolare e mietere…tutto ciò che può essere utile nel territorio di Massa…”.   Questo terzo atto fu rogato “… in castro quod dicitur Massa…”. Il riferimento al “castrum” indica una realtà di scorrerie e discordie. Lungo il fiume, infatti, frequenti erano le fortezze che rispondevano ad esigenze difensive e di controllo del traffico fluviale.
Si formò,   così, poco per volta,  una comunità di uomini liberi, che preludeva alla formazione del Comune rurale. Massa divenne un luogo fortificato sul Po, essendo sul tratto di fiume dove, ferraresi, mantovani e veronesi,  si combattevano per conseguire o conservare posizioni strategiche, territoriali ed economiche.
1130: il territorio di Massa passò sotto il patrimonio del Vescovo di Ferrara.
Dalla veloce incursione nell’epoca tardo antica e medievale, Massa emerge solo come punto geografico. L’assenza di narrazioni, di  vicende, lascia spazio all’immaginazione.
In principio una terra fluttuante, poi un villaggio galleggiante i cui abitatori  primordiali si stagliano sullo sfondo di un paesaggio fatto di acquitrini e di boschi. Uomini immobili nel tempo, come statuine di un presepe palustre perennemente in ostaggio del grande fiume.


Dal periodo dello Stato Pontificio alla Rivoluzione Francese

Il 1600 fu un secolo importante per tutto il territorio traspadano. Il marchese Enzo Bentivoglio, nel 1609,  ottenne l’autorizzazione papale ad attuare una Bonifica speculativa adducendo motivi di utilità pubblica ( prosciugamento di terre). Nonostante la contestazione dei possidenti del luogo, l’opera bonificatoria fu portata a compimento nel 1618: rappresentò l’evento storico- ambientale determinante la rivitalizzazione di tutta la zona.
Massa all’epoca era un borgo di 600 anime.
Nel 1630 fu investito dall’epidemia di peste che toccò la sua massima virulenza nel mese di agosto e proseguì nei mesi successivi. Il Convento di San Martino, in tale drammatico contesto, divenne punto di riferimento sociale e spirituale. La pestilenza decimò un’intera generazione .

Due decenni dopo il flagello pestilenziale, cominciò la ripresa socio- economica. Intere famiglie arrivarono dagli Stati confinanti attratte dalla publicizzazione delle esenzioni fiscali nella conduzione delle terre. I terreni furono coltivati in maniera intensiva.
Una relazione conventuale del 1655 fotografa la situazione socio – economica di Massa a metà del secolo:
“…Massa è una Villa Ferrarese assai popolosa, vi risiedono moltissimi signori, che a causa della loro condizione sono divisi tra di loro, ricchi mercanti della Diocesi ferrarese e dello stesso territorio; vicino al Po e fra alcune case, in una strada è situato tale convento. La chiesa è a tre navate, abbastanza urbana, cioè ben curata e molto giovevole alla popolazione. In essa si trovano il Coro, l’Organo, il Campanile, il Sacrario dei paramenti  sacri…e la “Confratrie”( Confraternita) dei Corriggiaii (fabbricanti di strisce di cuoio)…”
Il paese che all’inizio del secolo contava poche centinaia di anime, nel 1674 arrivò a 4000 abitanti, compresi quelli di Castelnovo e Marola – Pio.
Si ampliò, così, la chiesa parrocchiale che, nell’arco di quasi un secolo, si  era ridotta ad  uno stato fatiscente. Fu edificato il campanile, fu ordinata, secondo criteri voluti dal parroco, una campana grande (tuttora funzionante), sistemati gli altari. Si costruirono dimore per nobili e possidenti, i contadini continuarono ad abitare in casoni o case costruite con materiale povero.
Il 4 novembre 1682, il Cardinale Acciaioli autorizzò lo svolgimento di un mercato settimanale fissandolo nella giornata di sabato. Un traguardo significante commercio, autonomia, sviluppo. In segno di pubblico ringraziamento, i massesi posero una lapide commemorativa sulla facciata di un  edificio della Piazza, attualmente al numero civico 53.
In  località Camatte esisteva un Oratorio dedicato ai S.S.Rocco e Sebastiano. Nel 1688 di fronte a questo, ormai cadente, ne fu riedificato un altro,  inserito nella tenuta dei Marchesi Crispi Manfredi di Montaldo, denominato “Crispo”.
L’Oratorio rispecchiante lo stile architettonico del’600, nel tempo ha subito cambi di proprietari, fino a giungere al degrado. Attualmente è stato messo in sicurezza. La facciata è ornata da quattro colonne e da un Crocefisso sorretto da una sfera di marmo. Nella cella campanaria del piccolo campanile si trovano ancora due piccole campane scampate al degrado. Al suo interno, sull’arco di volta della piccola abside si è salvata  una lapide con un’invocazione: “Si irrurerit pestilentia, clamabimus exaudes, salvosque facies” ( Se dovesse irrompere la pestilenza, esaudisci coloro che ti invocano e salvali). Testimonianza di quanto l’epidemia, dopo tanti anni, fosse ancora stampata nella memoria collettiva.
Disegno a china del Castello di Bariano realizzato dal pittore castelmassese Amedeo Sivieri ( 1922 – 2005 ) tratto dall’originale regalato dall’ Abate Giuseppe Bellini alla fine 1800 alla chiesa di Santo Stefano. Alla fine degli anni cinquanta del ‘900 il quadro purtroppo fu rubato.

1700 In questo secolo Massa divenne  una comunità organizzata. Le istituzioni svolsero compiti diversi. La Parrocchia curava la pastorale e registrava la situazione demografica. Il Consiglio dei Savi (organo periferico con compiti contabili, di controllo, burocratici) amministrava  i beni pubblici. Le “Opere Pie”intervenivano, secondo le loro modeste possibilità, nei settori più trascurati: l’istruzione e la sanità. Il Convento qualificava il paese per la cultura, accessibile ad un ristrettissimo numero di persone.
Nel 1778, una relazione sullo “ Stato delle Anime” riporta la situazione demografica di Massa Superiore: 810 le famiglie, 4207 gli abitanti.
Con il Catasto Carafa del 1779, ogni “Villa o Parrocchia”  venne “fotografata”. Si registrarono località, strade, ponti,scoli, fossi, confini. In una delle mappe si distinguono i due poli religiosi – sociali del paese: la Chiesa di S. Stefano con la piazza antistante e il nucleo di case costituenti l’antico centro, le costruzioni sparse, le pochissime strade, le fosse di scolo con i relativi  ponti e il Convento di San Martino con chiesa , piazzale, botteghe.
Il logo del paese, diverso da tutti gli altri della Traspadana, era un logo tipicamente conventuale, testimoniante l’importanza assunta dalla comunità monastica diventata un centro di studio e spiritualità.

1789:  Rivoluzione Francese. A Ferrara i Francesi arrivarono nel 1796. I territori della striscia traspadana furono incorporati nella Repubblica Cisalpina. I francesi e le nuove autorità non incontrarono il favore della gente, soprattutto nelle campagne dove la vita peggiorò  gravata da nuove tasse che, purtroppo, ogni guerra richiede.
Anche nel territorio Traspadano si verificarono “insorgenze”. Marzo 1799 “…i  primi austriaci a seguito delle sconfitte napoleoniche, giungono sulla riva sinistra del Po. Gli abitanti dei territori veneti annessi al Dipartimento del Basso Po( Fiesso,Trecenta, Ficarolo, Massa Superiore) insorgono contro i Francesi e l’insorgenza accompagna l’avanzata delle truppe austriache…”.  Nel 1800  gli austriaci vennero sconfitti a Marengo dall’esercito napoleonico. Un anno dopo,  nel 1801,  i francesi rioccuparono Ferrara. Il convento, già precedentemente  soppresso, venne demolito poco per volta. Non rimase nemmeno una pietra. Dopo vari eventi bellici,  si giunse alla sconfitta di Napoleone.


Dalla Dominazione Austriaca al Nuovo Regno d’Italia

Nel Congresso di Vienna del 1814- 15  le potenze vincitrici, nella ridefinizione dei piccoli stati regionali, riscrissero la geografia: il fiume Po, per ragioni di sicurezza, divenne una linea naturale di confine. I paesi della riva sinistra del fiume, dopo secoli, cessarono l’appartenenza all’area ferrarese. La Provincia del Polesine fu divisa in sette Distretti.  Il Distretto di Massa Superiore  comprendeva altri paesi: San Pietro in Valle,  Castelnovo Bariano,  Bergantino,  Melara,  Calto.
Si troncò una storia antichissima. Fu cambiato il logo di Massa, si attuò il passaggio dalla Diocesi di Ferrara a quella di Adria – Rovigo (1816- 1822) che alimentò il disagio della popolazione .
Gli Austriaci non furono benigni.. La gente mal li sopportava.
Nel 1830, in seguito ad una restauro all’ interno della chiesa “…Sua Altezza Imperiale Serenissima Raniero  Arciduca D’Austria Viceré del Regno Lombardo- Veneto…” effettuò  una visita a Massa Superiore. Per l’occasione “… a dieci tra le più povere fanciulle del paese…” vennero donati pochi fiorini “…per la loro dote…”.  Una mancia che non mutò l’atteggiamento verso i nuovi dominatori.
I massesi aderirono ai primi  movimenti risorgimentali.  Il paese fu punito. Nel 1848  Massa Superiore fu privata dei territori di Castelnovo Bariano e San Pietro in Valle che divennero comuni autonomi. Molti con la complicità dei traghettatori del grande fiume, espatriarono, alcuni seguirono Garibaldi nelle sue spedizioni. Ben sessantadue furono i massesi che parteciparono alle tre  guerre d’indipendenza.
Verso la metà dell’800 l’antico castello fu demolito poco per volta. Scomparve, così, un’altra antica  testimonianza.
Gli oppressori non attuarono interventi idraulici: Massa rimase con le sue fosse, i suoi gorghi naturali (anche in pieno centro), i suoi canali piccoli e grandi, la sua atavica povertà. Emerse solo l’opprimente regime poliziesco.


Massa Superiore nel Nuovo Regno d’Italia

Nel 1866, con la III  Guerra d’Indipendenza, Massa Superiore entrò a far parte del Nuovo Regno d’Italia. I nuovi amministratori indirizzarono subito i loro sforzi sull’istruzione (diffuso era l’analfabetismo), sulla viabilità interna, sulle opere idrauliche ed urbanistiche.
Oltre alle scuole elementari in centro (classi maschili nella sede comunale, classi femminili in stanze affittate), nel 1878 vennero istituite due classi (una maschile e una femminile) in grandi locali di case coloniche in località Pio.
Si rettificò Via Magnana ( ora Via C. Battisti), si otturarono fosse, canali di scolo, gorghi, si incanalarono le acque in base a nuovi criteri. Si acquistò Palazzo Conti adibendolo a sede municipale.

Nonostante i tempi difficili si proseguì nell’ammodernamento del paese. Nel 1884 furono costruiti il Teatro Cotogni e la pompa pubblica per offrire un servizio ad uomini ed animali, non solo durante il mercato settimanale, ma anche per  quello dei bozzoli, del bestiame e della Fiera di San Martino. Si istituirono Scuole Superiori: una di “ Musica e Canto Corale” ( chiusa dopo sette anni per gli alti costi), una “D’Arte e Mestieri” (aule all’interno del Teatro Cotogni) per formare abili artigiani nella lavorazione del legno, dei metalli, nel settore delle attività edili.
Nonostante l’efficienza amministrativa, il tenore di vita della maggior parte degli abitanti era modestissimo perché legato al lavoro stagionale della campagna.
Tra il 1887 e il 1896 si verificò una forte emigrazione verso i paesi del Sud America: una media di cento persone l’anno lasciarono il paese. Molti tornarono delusi: lavori faticosi, mal remunerati, in luoghi isolati, lontani da paesi e città, senza assistenza sanitaria.A cavallo tra’800 e ‘900 Massa era,quindi, diventata un punto di riferimento per i paesi limitrofi tenuto conto della distanza dai grandi centri.
Nel 1902 due grandi eventi: l’apertura di una fabbrica per la lavorazione delle patate da cui si otteneva la farina di fecola, l’inaugurazione di un ponte in chiatte che facilitava il collegamento con Sermide e la sua ferrovia.
La “ Fecoleria” determinò la fisionomia mista del paese: agricola – industriale, fisionomia che l’avrebbe contraddistinto per sempre. Due anni dopo, in una golena, sorse una fabbrica di laterizi.
La costruzione del ponte fu l’evento più importante, di  risonanza nazionale. Un collegamento viario che consentiva un rapido attraversamento del Po per raggiungere la ferrovia di Sermide (comune dirimpettaio sulla riva destra del fiume), togliendo Massa Superiore e i comuni limitrofi da un isolamento secolare.
Foto vecchio ponte in chiatte

Nel settore dei servizi esistevano: il Consorzio Agrario, una sezione della Cattedra Ambulante d’Agricoltura che offriva consulenze, aiuti per le coltivazioni delle campagne e degli orti; le Poste o Messaggerie, un servizio attuato mediante una carrozza a non meno di due cavalli per il percorso Massa – Ostiglia. Era previsto l’uso di più animali qualora vi fossero molti viaggiatori. La carrozza era provvista di un ripostiglio per collocarvi la corrispondenza ed altri oggetti, indispensabile tra questi, la lucerna.
Il tragitto Badia – Ostiglia era coperto in quattro ore, che diventavano otto per il ritorno e nella cattiva stagione anche di più.
A quei tempi,  le bambine più piccole e che abitavano lontano dalle scuole, non le  frequentavano fino ad un’età in cui potessero percorrere distanze da sole. Non tutte avevano la possibilità di farsi accompagnare. Nei primi anni del ‘900 furono istituite due classi elementari (una maschile e una femminile) a Via di Mezzo per rendere più agevole l’accesso all’istruzione di base ai residenti delle zone rurali. Le aule non erano altro che stanzoni affittati dall’Amministrazione comunale dove si addensavano quaranta o più alunni.
Sul fiume c’era un gran movimento di battelli, barche, barconi.  I famosi e leggendari mulini natanti, si spostavano lungo la riva secondo i periodi di magra o di piena del Po: non dovevano intralciare la navigazione.
Nel 1906,  in seguito alla donazione di Antonio Ragazzi, fu fondata una Casa di Ricovero per anziani e malati poveri.
Nel 1913,  in centro, fu inaugurato il grande edificio delle Scuole Elementari intitolato al poeta “Enrico Panzacchi” che, sovente, aveva soggiornato a Massa.
Negli anni ’20 e ’30 del‘900, si diede impulso all’edilizia e alla viabilità interna. Si aprì una nuova via: l’attuale Viale Fattori, dove si costruì la nuova Caserma dei Carabinieri (1926), si dotò il paese di un campo sportivo con tribuna coperta, di un Macello Comunale, di un edificio per la Scuola d’Arte, di una piccola Scuola Elementare a Via di Mezzo.
Il 14 giugno 1928 il Comune di Massa Superiore fu nuovamente unito a quello di Castelnovo Bariano. In base alla fusione, Massa cambiò il suo toponimo in Castelmassa.

Veduta della piazza municipale priva del monumento eretto nel 1925


Periodo Repubblica Italiana

25 aprile 1945- Fine della II Guerra Mondiale. Il 13 e il 15 luglio 1944 bombardamenti aerei distrussero il ponte in chiatte. La riattivazione del ponte s’impose come primaria necessità.
Nel breve periodo di un anno il manufatto venne  ricostruito con caratteristiche similari al primo: chiatte di cemento sulla riva sinistra, barconi in ferro ad uso militare sulla riva destra, a Sermide. Un po’ raffazzonato (si utilizzarono le due testate rimaste e tutto il materiale residuato recuperato), ma completo e funzionante. La sua inaugurazione, anche quella volta, balzò agli onori della cronaca nazionale tramite il documentario filmato “La Settimana INCOM” che evidenziava le grandi opere di ricostruzione post- bellica. Nel frattempo, Castelnovo Bariano l’1-1-1947 ottenne l’indipendenza da Castelmassa che  mantenne il toponimo del 1928.
Urbanisticamente il paese conservò la struttura antica fin quasi alla fine degli anni ’50 del 900 quando, aprendo una lunga via di fronte al Palazzo Municipale, iniziò un profondo cambiamento  dell’asseto urbanistico: l’insediamento abitativo si espanse verso la zona Est, conseguentemente si costruirono altre vie.


Espansione dell’insediamento abitativo verso Est

Nel primo censimento delle strade del paese, effettuato dopo l’annessione del Veneto al Nuovo Regno (1871) si contarono quindici strade più alcuni tronconi nel territorio rurale. La Piazza e Via Magnana (ora Via C. Battisti) costituivano la borgata principale; tre erano le borgate secondarie: Via Camatte, Via San Martino e Argine Marola –Pio. Attualmente il numero delle strade è passato al considerevole numero di settantaquattro. La densità abitativa è aumentata: molte famiglie si sono spostate dalla campagna al centro.

Vista dal satellite Castelmassa assomiglia ad un’antica cittadella medievale addossata alla riva del Po con al centro del fiume la millenaria isola come una voluminosa foglia galleggiante.  Un’immagine singolare, una sorta di roccaforte ma, al suo interno, è spaziosa: viali alberati,  nuove piazze e  parchi come piccole oasi verdi. Visualizza la foto su Google Maps maps.google.it/maps

Teatro Cotogni
Il Teatro Cotogni venne inaugurato il 23 agosto 1884 con l’opera  “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini e la partecipazione straordinaria del famoso baritono Antonio Cotogni. Il  corpo orchestrale era composto di cinquanta professori e coristi dell’orchestra di Bologna. Seguirono altre tre serate operistiche, concerti e varie altre manifestazioni.
Un evento straordinario per un piccolo paese, citato anche sulla stampa nazionale.
Cotogni:  teatro tipico dell’epoca: forma ovale, due ordini di palchi, due loggioni laterali, tanto capiente da poter contenere centinaia di persone.
La loggia, parte integrante dell’ imponente fabbricato, fu progettata per consentire uno svolgimento ottimale del mercato della canapa, delle tele e dei bozzoli. Un progetto brillante che, seppur finalizzato al commercio, ha contribuito a rendere l’edificio imponente nella sua volumetria.
Chiamato dagli amministratori del tempo “Sala per spettacoli”, il teatro  fu concepito anni prima  per sopperire alla lontananza dai grandi centri ed offrire opportunità culturali in un’ottica di rinnovamento che abbracciava vari settori settori dall’urbanistica, alla viabilità, concentrandosi soprattutto sull’istruzione. La realizzazione del teatro rientrava, quindi, in una pluralità di obiettivi amministrativi finalizzati a dare nuovo impulso al paese.
Con il passar degli anni gli spettacoli si differenziarono man, mano che  i tempi cambiavano e galoppava il progresso: opere, operette, concerti, film, spettacoli leggeri, prosa, varietà. Divenne un punto di riferimento per tutti i paesi circostanti. Non conobbe crisi di affluenza.
Nel 1951 l’interno fu completamente ristrutturato. Furono demoliti i palchetti, cambiò fisionomia: ampia platea con una grande gradinata capaci di contenere cinquecento persone.
Nel 1984 non possedendo più i requisiti di sicurezza secondo le nuove norme in tale materia, fu chiuso. Purtroppo la chiusura è durata ventiquattro anni.
Ora è stato ristrutturato e ridimensionato con una capienza minore rispetto al passato.
Rimane l’imponenza del fabbricato che  situato vicino al Palazzo Comunale e alla Banca Antonveneta (ex Villa Bresciani) conferisce alla Piazza municipale una apprezzabile armonia architettonica.

Istituto d’Arte

“Il Corriere del Polesine” il 28 giugno 1893 dedicò un articolo alla Scuola d’Arti e Mestieri di Massa Superiore, apprezzando gli elaborati presentati dagli alunni alla prima mostra realizzata dalla scuola, istituita da soli tre anni.
Il Consiglio dell’allora Massa Superiore aveva deliberato l’avvio della “Scuola d’Arte applicata all’industria” solo il 31 dicembre 1889 per “…supplire alla mancanza, da un pezzo lamentata, di un insegnamento pubblico nel quale si ammaestrasse con metodi e sistemi razionali il nostro artigianato a quelle industrie fabbrili che si son qui sviluppate (lavori di muratore, scalpellino, intagliatore, ebanista, lavoranti in ferro e simili)…”
L’impegno e la qualificazione di docenti e allievi, consentì nel 1911 la partecipazione della scuola all’Esposizione di Torino. Particolarmente negli anni Trenta furono numerosi i riconoscimenti (medaglie  d’oro, di bronzo, premi particolari) che la scuola ottenne non  solo in mostre a Rovigo, Adria, ma nelle fiere e mostre di grandi città come Milano e Bologna.
La  “Scuola d’Arte e Mestieri” per la sua valenza sociale e culturale ha beneficiato di oblazioni da parte di alcuni benemeriti cittadini:
Vittorio dott. Fattori – 11 febbraio 1914 < Legato Fattori> ;
Cav. Emilio Turco – 4 ottobre 1925 < Fondazione Gina Guerrini Turco> ;
Oliviero ing. Bianchi – 9 settembre 1934 < Fondazione ing. Stefano Luigi Bianchi>.
Le donazioni hanno consentito l’istituzione di Borse di studio.
Nel 1962 la Scuola d’Arte applicata divenne Istituto d’Arte, nel 1990 fu intitolata a Maria Callas.
Attualmente è un Istituto di Istruzione Superiore aggregato all’I.P.S.I.A “E.Bari” di Badia Polesine e all’I.P.S.A.A. “M.e T. Bellini” di Trecenta.
Nel mutare dei tempi sono cambiate le discipline e attualizzati i corsi attraverso progetti specifici che vanno dall’ Architettura ed Arredo, alla Pittura e alla  Decorazione Pittorica, alla Moda e al Costume, fino a comprendere Arte e Restauro della Ceramica, dei Metalli, dell’oro e dei metalli preziosi.
Si svolgono, inoltre,  corsi serali inerenti l’Arte del Tessuto e la Decorazione Pittorica.
Nell Istituto  attualmente si sta svolgendo un concorso che è un positivo esempio d’incontro tra scuola e mondo del lavoro.
L’I.S.A., la Grecotex (azienda locale specializzata in maglieria ed abbigliamento) e la Confindustria di Rovigo hanno organizzato e promosso un concorso per la realizzazione di una collezione donna “Primavera- Estate ’09” finalizzata a promuovere sul territorio la conoscenza delle capacità di progettazione nel campo della moda. L’attività è  strutturata in parte  all’interno dell’istituto scolastico, in parte presso la sede aziendale di Grecotex. La cerimonia di premiazione si terrà a Rovigo presso la sede di Confindustria.

Dalla “Fecoleria” alla “Grande Fabbrica”
Nella “Fecoleria”  venivano lavorate  le patate dalle quali si otteneva la farina di fecola. Successivamente vi furono cambi di proprietà e di materia prima. Negli anni Venti del ‘900 s’incominciò ad utilizzare il granone o  mais per ottenere una diversificazione di prodotti, la fabbrica assunse il nome di F.R.A.G.D. ( Fabbriche Riunite Amido Glucosio Destrina).
Fu costruita in riva al fiume una grande gru. Lì attraccavano bettoline cariche di mais.  Con carretti e poi con camion il granone veniva trasportato allo stabilimento.  Il camino della fabbrica era sempre fumante, segno che il ciclo di lavorazione era continuo. Il “camino” assieme alla chiesa ed al campanile divenne un simbolo del paese. Con l’avvento delle nuove tecnologie fu abbattuto alla fine degli anni 90 del ‘900.
Un avvenimento che richiamò una gran folla:  in pochi secondi, tra una grossa nuvola di polvere,  scomparve una caratteristica del panorama castelmassese.
Nel tempo il complesso industriale  ha cambiato fisionomia e proprietà.
Attualmente lo stabilimento  si avvale di una avanzata tecnologia,  di una centrale termoelettrica, è dotato di vasche per la depurazione delle acque di scarico, si chiama Cargill ed  opera con impianti a ciclo continuo.
I derivati della lavorazione del mais sono  utilizzati da varie industrie: dolciarie, conserviere, farmaceutiche, cartiere. La fabbrica ha assunto grandi proporzioni. Lo si può constatare di sera: una dimensione enorme evidenziata dall’illuminazione  che conferisce al complesso industriale un suo fascino: nel buio una struttura avveniristica, quasi spaziale.


Le fonti

Pagina aggiornata il 03/10/2023

Quanto sono chiare le informazioni su questa pagina?

Grazie, il tuo parere ci aiuterà a migliorare il servizio!

Quali sono stati gli aspetti che hai preferito? 1/2
Dove hai incontrato le maggiori difficoltà?1/2
Vuoi aggiungere altri dettagli? 2/2
Inserire massimo 200 caratteri